martedì 11 giugno 2013

Partnership: Claudio Di Mauro

Grazie all’interessamento di Simone Rosati, sono riuscita ad ottenere un’intervista con Claudio Di Mauro, celebre montatore che nel corso della sua carriera conta più di centosessanta lungometraggi. Ha lavorato con i più grandi registi del tempo e collezionato premi e riconoscimenti vari, tra cui spicca sicuramente il David di Donatello per il montaggio de “L’Ultimo Bacio”, film italiano del 2000 con Giovanna Mezzogiorno, Stefano Accorsi, Stefania Sandrelli e regia di Gabriele Muccino.


Registi con cui lavora:
Michelangelo Antonioni, Gabriele Muccino, Gabriele Salvator, Carlo Verdone, Giovanni Veronesi, Vincenzo Salemme, Ficarra & Picone.
Insegnamento:
Ha collaborato come docente con l'Accademia dell'Immagine dell'Aquila.
Premi e riconoscimenti:
David di Donatello per il montaggio de "L'Ultimo Bacio".
E'stato presidente dell'associazione montaggio cinematografico (AMC) E’membro della giuria del David di Donatello

Con trepidazione mi appresto ad inviare una e-mail a Claudio Di Mauro, ma la sua risposta subito scioglie ogni riserbo … gentile, conciso, esaustivo nella sua dialettica semplice ma efficace inizia con il parlare di Roma, del suo Festival del Cinema e del rapporto tra la città e l’arte dello spettacolo: “Roma ha un profondo ed importante legame con il cinema in quanto è stata scenario della maggior parte dei film italiani ed ha fatto la storia del cinema con gli studi di Cinecittà, il festival continua in questa direzione ad alimentare la cultura cinematografia, per questo è un evento positivo per la capitale”.
Visiona il mio progetto, le mie idee e con poche parole mi dà molto su cui riflettere: “il concetto di scuola di cinema è ad oggi obsoleto. Il salto in avanti nella formazione cinematografica si compie guardando il modello statunitense o inglese, dove si costituiscono laboratori in cui la formazione è gestita e portata avanti da professionisti del cinema, non da docenti universitari”.
L’intento di rinfunzionalizzare uno spazio interstiziale, abbandonato e degradato al fine di avvicinare  la comunità all’arte dello spettacolo lo convince: “il cinema è un' arte collettiva. Il fatto di essere aperto alla comunità influenza uno scambio continuo di idee, che alimenta il cinema stesso. Tale processo si attua se si dà alle persone che partecipano la possibilità di interagire con la struttura stessa, così da avere un dibattito sempre attivo e costruttivo.”
La sua visione della struttura organizzativa è chiara fin da subito: “i laboratori dovrebbero essere quelli delle principali figure professionali del cinema, per intenderci quelle dei titoli di testa, come fotografia, scenografia e costumi, montaggio e regia. Lo studio di ripresa deve essere sufficientemente ampio da poter far muovere  agevolmente una piccola troupe con le attrezzature, può essere anche staccato dal resto della struttura e necessita di montacarichi,  luce esclusivamente artificiale, soffitti alti più di 5 metri e buon isolamento acustico.”
Si immagina una struttura aperta 24 ore su 24, utilizzata la sera per attività di proiezione, promozione, anteprime e dibattiti. L’idea di insegnare e collaborare qui lo entusiasma a tal punto da proporsi come finanziatore ipotetico dell’opera, unica nel suo genere a Roma e capace di avvicinare ed educare il grande pubblico ad una conoscenza più profonda del cinema.

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