Arrivo
al Dipartimento di Arti e Scienze dello spettacolo della Sapienza di
Roma, alla facoltà di Scienze Umanistiche ed incontro lei, Silvia Pezzopane,
una ragazza volenterosa pronta a darmi una mano anche in un periodo serrato
come quello della sessione estiva. Inizia il suo background, la sua storia,
seduti al tavolino di un bar...
E'
all'ultimo anno e dopo aver raggiunto una preparazione abbastanza generale
vorrebbe specializzarsi in costume di scena e scenografia, lavora nel settore
da tempo ed ha intrapreso esperienze come curatrice di costumi o scenografie.
Condivide la sua passione con altri ragazzi con i quali autoproduce
piccoli progetti come videoclip o corti (http://genero.tv/watch-video/35813).
I
suoi occhi hanno uno strano scintillio quando le chiedo come si è avvicinata al
cinema e quando ha deciso di investire in questo settore tutto il suo futuro,
"ho sempre avuto la passione dello spettacolo, sia teatrale che
cinematografico, passando per la danza, e tento di unirla ad un'altra mia
grande passione: quella per gli abiti, i tessuti e il riuso di materiali in
ambito artistico." Ho pensato in quel momento che nessuno più di una
giovane ed appassionata studentessa, ricca di idee e forza di volontà, potesse
essermi d'aiuto nel progettare la mia piccola scuola cinematografica, aperta
alla comunità, all'innovazione e perché no … al riuso di materiali in ambito
artistico.
Parliamo
di tutto, dal Festival del Cinema di Roma, secondo lei poco pubblicizzato con
costi abbastanza elevati, frequentato quasi sempre da cinefili, studenti e
giornalisti e poche persone "normali" che vogliono godersi del cinema
nuovo, a come l'arte dello spettacolo possa approcciarsi diversamente al grande
pubblico. "Credo sia un'idea interessante mettere realmente a stretto
contatto studenti di cinema con un festival come questo, senza far spegnere i
riflettori sull'evento per il resto delle altre 51 settimane dell'anno"
dice immaginandosi già li, indaffarata dietro le quinte.
E'
particolarmente interessata al progetto Urban Voids, alla rinfunzionalizzazione
di spazi interstiziali, abbandonati o degradati e tira un sospiro di sollievo
quando consta che nelle università certi temi si trattano ancora e che, almeno
nel percorso di studi, si pensa a certe tematiche che poi, chissà come, nel
mondo reale vengono sempre soppiantate da colate di cemento e nuovo
sfruttamento di suolo.
Iniziamo una chiacchierata più specifica sul progetto vero e proprio: "le persone dovrebbero recarsi in un posto come questo non semplicemente per vedere un film, ma per seguire dibattiti e cineforum, per stare a contatto con chi lavora nell'ambito alla maniera dei cinema d'essay, lasciando alle altre sale cinematografiche di Roma il mainstream e curando qui un altro aspetto del cinema, quello culturale e quasi totalmente celato al grande pubblico, innescando così un dinamismo che abbia impatto a livello territoriale e diventi un canale di interazione sociale". Mi confida che avendone la possibilità, sarebbe la prima a finanziare un progetto del genere e che se esistesse davvero sarebbe ben felice di continuarci a studiare e collaborare. Ma giungiamo a questioni più tecniche: "Di che cosa necessita una piccola scuola di cinematografia? Come la organizzeresti ?". Silvia sogna corsi di montaggio audio-video, di fotografia, trucco e abiti ed uno studio di ripresa indipendente con vari set ed un'illuminazione totalmente artificiale per un migliore risultato finale. Lo spazio espositivo lo immagina come un atelier dove gli studenti possano mettere in mostra i propri lavori e la scuola viva, aperta anche durante la notte, sia per iniziative serali promosse dalla stessa struttura sia per consentire agli studenti di proseguire il proprio lavoro.
Iniziamo una chiacchierata più specifica sul progetto vero e proprio: "le persone dovrebbero recarsi in un posto come questo non semplicemente per vedere un film, ma per seguire dibattiti e cineforum, per stare a contatto con chi lavora nell'ambito alla maniera dei cinema d'essay, lasciando alle altre sale cinematografiche di Roma il mainstream e curando qui un altro aspetto del cinema, quello culturale e quasi totalmente celato al grande pubblico, innescando così un dinamismo che abbia impatto a livello territoriale e diventi un canale di interazione sociale". Mi confida che avendone la possibilità, sarebbe la prima a finanziare un progetto del genere e che se esistesse davvero sarebbe ben felice di continuarci a studiare e collaborare. Ma giungiamo a questioni più tecniche: "Di che cosa necessita una piccola scuola di cinematografia? Come la organizzeresti ?". Silvia sogna corsi di montaggio audio-video, di fotografia, trucco e abiti ed uno studio di ripresa indipendente con vari set ed un'illuminazione totalmente artificiale per un migliore risultato finale. Lo spazio espositivo lo immagina come un atelier dove gli studenti possano mettere in mostra i propri lavori e la scuola viva, aperta anche durante la notte, sia per iniziative serali promosse dalla stessa struttura sia per consentire agli studenti di proseguire il proprio lavoro.
Conclude
dicendo "Passerei le mie giornate in un luogo di incontro e cultura come
quello che mi stai illustrando, grazie per questo piccolo film che mi hai
permesso di fare con l'immaginazione".
Nessun commento:
Posta un commento