martedì 9 aprile 2013

Saper vedere il CINEMA


SAPER VEDERE IL CINEMA di Antonio Costa
Saper vedere il cinema è un orientamento sia sul piano della storia che su quello della tecnica e del linguaggio al complesso fenomeno cinematografico. La prima domanda che sorge spontanea è: che cos’è il Cinema? Si possono dire moltissime cose: è tecnica, è un’industria, un’arte o uno spettacolo, ma soprattutto divertimento e cultura. Saper vedere il cinema, indica già qualcosa di più preciso: significa, infatti, imparare ad osservare un film prendendo da esso le debite distanze, in modo da poterne comprendere i meccanismi di funzionamento e di produzione del senso. Roland Barthes ha chiamato tutto questo distanza amorosa, indicando la relazione tra il piacere di vedere un film e la capacità di discernere, scegliere e giudicare. Costa propone di considerare il cinema come dispositivo, e precisamente un “dispositivo di rappresentazione” ossia un complesso di funzioni caratterizzato da una peculiare microfisica dei ruoli, organizzazione degli spazi, meccanica di produzione dell’immagine, codici di produzione di senso e modi di significare, in breve strutture significanti, condivisi tra spettatori e registi. Egli riconosce che il cinema ha una storia che lo ha progressivamente modificato, che il cinema è la sua storia:

“Il cinema è ciò che in una società, in un determinato periodo storico, in un certo assetto del suo sviluppo, in una determinata congiuntura politico-culturale o in un certo gruppo sociale si decide che esso sia”
Antonio Costa, Saper vedere il cinema, cit, p. 14

CINEMA E STORIA
Il cinema ha diversi rapporti con la storia, intesa come insieme di fatti, e può essere visto come fonte e come agente di storia. In quanto fonte, esso rappresenta una riserva inesauribile di documenti significativi per lo storico (la storia nel cinema), come agente esso entra in modo attivo nei processi storici (il cinema nella storia - i film possono avere un ruolo attivo nella propaganda politica, nella diffusione di un’ideologia).
Vari sono gli approcci ed i punti di vista che nell’arco del ‘900 hanno affrontato il tema delle origini del cinema, c’è chi condivide una posizione meramente tecnico-scientifica (legata al funzionamento delle apparecchiature), chi un approccio psicologico e sociologico (ossia come il cinema influenza l’immaginario collettivo) ed infine chi ha un punto di vista estetico (per vedere come il cinema apporta innovazioni ad altre arti esistenti); certo è che la magia cinematografica ha condizionato e condiziona ancora oggi diversi aspetti della vita quotidiana pubblica e privata.

ORIGINI E TEORIE DEL CINEMA
Le diverse teorie del cinema sono la declinazione di due grandi alternative teoriche: da una parte, la natura “formativa” del cinema (Arnheim), dall’altra, quella di riproduzione meccanica (Benjamin, Bazin). Rudolf Arnheim, teorico e psicologo dell’arte, vede nel cinema soprattutto un campo di indagini idoneo a confermare la tesi della psicologia della forma della funzione strutturante e creativa della percezione rispetto al dato materiale della sensazione. L’immagine filmica è “autonoma” rispetto alla realtà riprodotta; rispetto ad essa produce una “differenziazione”. Il cinema è quindi strutturalmente formativo, in altre parole artistico. Benjamin, invece, riconosce al cinema natura di riproduzione meramente meccanica del reale, una modalità di riproduzione che si afferma nel contesto della crisi radicale del sistema tradizionale delle arti. Per questo motivo il cineasta deve rispettare la continuità dell’evento, senza alcuna interruzione da parte del montaggio. Ne deriva la “teoria del montaggio proibito”: quando l’azione richiede una soluzione di continuità, il montaggio è proibito. Il primo dibattito che nacque attorno alla nuova invenzione fu, infatti, tra la volontà di riprodurre il reale e la volontà di creare realtà simulate o ricostruite. Il contrasto tra realtà e fantasia fu solo apparente, infatti non è possibile separare nettamente una tendenza “realistico-oggettiva” ed una “fantastico-irreale”, entrambe fanno parte di quell’unico processo che porterà il cinema ad essere sempre qualcosa di “iperreale”, cioè qualcosa che è sempre e comunque “già riprodotto”. 

SCENOGRAFIA, PAESAGGIO e ARCHITETTURA – LA SCENA URBANA
Il cinema diviene “la scena della storia”, investe il tessuto di intere comunità, ne regola i comportamenti e gli sviluppi in quanto direttamente o indirettamente legato alle forme e ai sistemi di rappresentazione e interpretazione dell’uomo, della natura e della società. Esso alle origini ha finito per compendiare tecniche e temi delle “sale del progresso” delle Esposizioni universali, ponendosi come la fase tecnologicamente e produttivamente più avanzata di un processo di estensione dell’area di influenza dello spettacolo. Il cinema viene così ad assumere il ruolo di mezzo di diffusione, capillare e amplificata, di un processo di spettacolarizzazione e di modificazione percettiva dello spazio urbano (l’Esposizione ne è appunto l’emblema e il compendio).
Le relazioni tra le componenti del testo filmico determinano anche diverse interpretazioni dello spazio rappresentato. Si prenda in esame lo spazio urbano, nel quale si stratificano significati simbolici preesistenti al cinema, ma dei quali lo stesso è stato un veicolo di dilatazione. Sicuramente esiste un rapporto tra generi e rappresentazione dello spazio urbano, basta pensare alla “messa in forma” scenografico-spettacolare nei musical, allegorica nel fantastico, apocalittica nel fantascientifico. Inoltre si può osservare che determinati generi si affermano anche in relazione alle fasi di sviluppo delle metropoli industrializzate e ai diversi valori che lo spazio urbano acquista nell’immaginario collettivo. La fortuna del gangster movie è strettamente legata all’espansione della criminalità organizzata all’epoca del proibizionismo e della grande depressione, il genere metropolitano è invece caratterizzato dallo scenario degradato della metropoli post-industriale con le sue aree di emarginazione e violenza. Il cinema offre sicuramente il più vasto repertorio non solo di documentazione dell’evoluzione dello spazio urbano, ma soprattutto dell’idea di città quale è andata modificandosi dalla fine dell’Ottocento a oggi. Alla fine degli anni cinquanta ad esempio gli addetti al settore terziario superano per la prima volta i lavoratori dell’industria e dell’agricoltura, cultura, arte, cinema si interessano sempre più a fenomeni legati all’attualità della vita di tutti i gironi e all’emergere delle nuove opportunità e dei nuovi problemi legati alla società di massa. C’è una curiosità irriverente verso gli oggetti della vita quotidiana, tali ricerche vengono denominate “pop”, popolari. Oggetti della quotidianità vengono trasformati in icone, entrano nell’immaginario collettivo i fumetti, le pubblicità, il culto delle star. Ruolo importane ha anche la tecnologia che diffonde e moltiplica l’arte altra, come la televisione.
Scenografia, architettura e paesaggio sono elementi pro filmici, vale a dire dotati di esistenza e significati preesistenti alla ripresa cinematografica. La scenografia rinvia al teatro ed è legata alla pittura. L’architettura, oltre a produrre spazi funzionali e “abitabili” è anche rappresentazione. Il paesaggio è la forma in cui una società organizza il rapporto tra natura e cultura. Dall’avvento delle tecnologie digitali in poi, lo spazio dell’azione filmica è sempre più spesso frutto della simulazione digitale, si parla di set virtuale, di simulazioni mediante modelli computerizzati, tuttavia questi nuovi elementi non costituiscono lo spazio filmico. Rohmer individua tre spazi:
Lo spazio pittorico. L’immagine cinematografica proiettata sullo schermo, percepita come rappresentazione pittorica del mondo esterno
Lo spazio architettonico. Queste stesse parti del mondo, così come la proiezione ce le presenta, sono dotate di una esistenza obiettiva che, a sua volta può essere oggetto di un giudizio estetico, in quanto tale. E’ con questa realtà che il cineasta si misura al momento delle riprese, sia che la restituisca, sia che la tradisca.
Lo spazio filmico. Lo spettatore non ha l’illusione di uno spazio filmato, ma di uno spazio virtuale riconosciuto nella sua mente, sulla base degli elementi frammentari che il film gli fornisce.
Ad ognuno di questi tre spazi corrispondono fasi e competenze diverse nel processo di produzione (la fotografia per lo spazio pittorico, la scenografia per lo spazio architettonico, la messa in scena e il montaggio per quello filmico). Un perfetto equilibrio tra le tre componenti è secondo Rohmer il contrassegno di una grande opera cinematografica.

Come detto in Architettura e modernità, Dal Bauhaus alla rivoluzione informatica di Antonino Saggio
l’arte non è intesa come contemplazione, ma come produzione, cultura come mezzo di lavoro e non come passatempo elitario. Informazione e cultura sono fattori produttivi della società dell’informazione che sovrappone e intreccia le funzioni che prima erano necessariamente divise. Nelle architetture di Gehry gli spazi sono concepiti come una scena teatrale dove i personaggi-volumi delle sue architetture sembrano parlare, muoversi, ballare. Sono valori architettonici, ma anche sociali, sono gli stessi spazi che sollecitano a vivere, a conoscere, a usare gli edifici in maniera aperta, gioiosa, libera.



LE NUOVE TECNOLOGIE DEL DIGITALE NEL CINEMA
Sono le nuove tecnologie del digitale che determinano inedite convergenze e ibridazioni tra differenti assetti delle tecniche e dei procedimenti cinematografici. Come caso emblematico potremmo citare il procedimento del flow motion reso celebre da alcune memorabili sequenze di Matrix, dove si combina una tecnica pre-cinematografica (la cronofotografia) con le più sofisticate tecniche di animazione digitale (il morphing). Ad esempio il morphing, che sicuramente ha qualche parentela con la vecchia dissolvenza incrociata, consente la trasformazione di un’immagine in un’altra, letteralmente una metamorfosi ottenuta mediante programmi offerti in rete sul proprio portatile. Le forme di manipolazione che il montaggio realizzava nella costruzione della sequenza oggi, per effetto delle tecnologie digitali, sono possibili già a livello di inquadratura. Si passa così da un cinema della traccia, dell’impronta ad un cinema del simulacro, dal montaggio cosiddetto materiale al montaggio virtuale. Il realismo ontologico dell’immagine filmica, la riproduzione meccanica del reale quale si realizzava con la ripresa cinematografica, viene meno con il digitale. L’evento digitale muta la natura stessa dell’immagine, essa non è più il prodotto di un “contatto chimico-fisico” tra l’evento ripreso e l’emulsione fotosensibile sul supporto (la pellicola), ma della combinazione di unità separate (discrete), cioè di valori numerici. Il passaggio dalle tecniche di riproduzione chimico-meccaniche a quelle elettroniche si concretizza con la distribuzione di immagini mediante supporto elettronico, con l’intervento diretto dell’istituzione televisiva nella produzione cinematografica, per un doppio sfruttamento, e con l’integrazione fra tecnologia tradizionale e tecnologia elettronica nella produzione di film. E se per il momento viviamo ancora in una situazione transitoria, basata sull’integrazione, ibridazione e, a volte, convergenza tra le diverse tecniche, sembra ai più inevitabile un’unificazione del sistema dei media all’insegna del digitale. Il cinema contemporaneo basato sugli effetti speciali e sull’integrazione con le tecniche digitali ha introdotto nella rappresentazione dello spazio urbano notevoli modificazioni. Dal punto di vista iconografico, notiamo una presenza ossessiva delle luminescenze, delle intermittenze e delle discontinuità degli schermi elettronici nelle scenografie del cinema nella New Hollywood dove lo spazio urbano diventa una sorta di topografia dell’inconscio dove ogni incontro è possibile: con i fantasmi del desiderio amoroso come con le configurazioni più stranianti della violenza e dell’assurdo.

LA RIVOLUZIONE INFORMATICA DELL’ARCHITETTURA 
Anche nell’architettura la presenza informatica è una componente di impatto epocale, le simulazioni al computer permettono la formalizzazione dei meccanismi genetici dei diversi fenomeni, conducendo alla nascita di vere e proprie metodologie di progetto che concettualizzano la logica di sviluppo delle forme e creano sistemi generatori che costituiscono l’ossatura delle nuove architetture.
“L’architettura ha le potenzialità di fare del tempo spazio e dello spazio tempo” questo è quanto afferma Saggio in Architettura e modernità, dal Bauhaus alla rivoluzione informatica. Lo spazio entro cui si collocano gli oggetti e le architetture non esiste, bensì esistono le relazioni che deformano e creano insieme spazio e oggetto. Gli architetti cominciano a pensare non più di plasmare una cosa che “è”, ma di poter creare essi stessi il tempo e lo spazio, grazie ai sistemi di telecomunicazione ed a Internet. Si definisce cosi il concetto di interattività che incorpora la possibilità di creare modelli interconnessi e mutabili di informazioni continuamente riconfigurabili. 
Gehry e il suo studio generano decine di modelli che plasmano la materia, verificano gli spazi, gli effetti tridimensionali, il gioco dei pieni e dei vuoti. Realizzato un plastico di passa alla digitalizzazione, ossia se ne leggono i punti per mezzo di un pantone elettronico e si elabora un modello, questa volta elettronico, che sarà la base di migliaia di altre verifiche e modifiche in itinere. Si crea così un modello vivo, intelligente, è l’architettura stessa che tende a diventare di conseguenza dinamica, interconnessa mutabile, interattiva. Oggi si esplora un’idea di architettura basata sulla presenza centrale della soggettività, della personalizzazione, della comunicazione, della complessità in logica sistemica.

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